Scrive Alberto Zanardi che il nuovo sistema di regole di bilancio europee si fonda su due elementi qualificanti: la prospettiva pluriennale della programmazione finanziaria, che si concretizza nella formulazione dei Piani strutturali di bilancio di 5 o 7 anni, e il riferimento alla dinamica della spesa primaria netta quale indicatore unico per la sorveglianza annuale dell’evoluzione delle finanze pubbliche dei Paesi membri.
Questi stessi elementi devono necessariamente guidare il coinvolgimento di tutti i soggetti che costituiscono le amministrazioni pubbliche nel conseguire gli obiettivi di finanza pubblica definiti dalla nuova governance dell’Unione europea. E tra questi, innanzitutto, gli enti territoriali – regioni, province, città metropolitane e comuni – che, nel loro insieme, sono
responsabili di circa un terzo del totale della spesa pubblica.
Ma le domande che si affastellano sono molte. La prima delle quali è: in che modo è possibile garantire il concorso delle autonomie territoriali alle nuove regole europee? Innanzitutto, è necessario attivare una sede istituzionale di confronto tra diversi livelli di governo dove decidere il riparto dell’obiettivo sulla dinamica della spesa pubblica primaria netta tra bilancio dello Stato e degli enti territoriali e tenerlo sotto stretto monitoraggio nel corso dell’applicazione del Piano strutturale. Potrebbe essere la Conferenza permanente sul coordinamento della finanza pubblica, già prevista dalla legge sul federalismo fiscale, adeguatamente responsabilizzata come momento di effettiva co-decisione interistituzionale della programmazione pluriennale di finanza pubblica. È in questa sede che dovranno essere fissati gli obiettivi pluriennali di spesa per sotto-settori da esplicitare nel Piano strutturale tenendo conto delle priorità nazionali, del diverso grado di rigidità degli ambiti di spesa, delle prestazioni garantite da livelli essenziali delle prestazioni Lep, che per essere riviste richiedono un’esplicita decisione legislativa.
In questa prospettiva, la finanza pubblica degli enti territoriali dovrà necessariamente assumere un orizzonte pluriennale coerente con quello di medio termine dei Piani strutturali di bilancio, una programmazione effettivamente vincolante, non rivista anno dopo anno.
A valle della fissazione degli obiettivi pluriennali di spesa per sotto-settori, è necessario che il governo centrale disponga di una leva adeguata per garantire che gli enti territoriali assumano impegni di spesa effettivamente coerenti con la programmazione multi-livello. Tale leva non può che essere la revisione dei trasferimenti che il bilancio dello Stato eroga a favore dei bilanci locali (o di un loro parente stretto, che sono le compartecipazioni sui tributi erariali assegnate agli enti territoriali). Va infatti ricordato che i trasferimenti erariali di parte corrente rappresentano quasi il 15% delle entrate delle amministrazioni decentrate: pur in tempi di federalismo fiscale, la “finanza derivata” ha ancora uno spazio rilevante e su questo può agire il governo centrale – che è il responsabile verso l’Ue degli equilibri complessivi di finanza pubblica del Paese – per condizionare le risorse disponibili per la spesa a livello territoriale.
Ora, è ovvio che la possibilità di gestire questo strumento in modo puntuale, ordinato e trasparente sarebbe assai facilitata se fosse stata riordinata la pletora di fondi con cui i singoli ministeri assegnano risorse per obiettivi specifici a Regioni e Comuni, trasformandoli in trasferimenti senza vincoli di destinazione per alimentare i meccanismi perequativi dei vari livelli di governo decentrato.
Altro quesito cruciale: la gestione dal centro dei trasferimenti statali sarà sufficiente per garantire la coerenza della spesa degli enti territoriali rispetto alla programmazione multilivello di medio periodo? Ebbene, questo dipenderà dalla possibilità concreta per Regioni e Comuni di trovare nei propri bilanci entrate aggiuntive, diverse dai trasferimenti erariali, che consentano loro di assumere nuovi impegni di spesa.
Va qui evidenziato che l’aggregato di spesa rilevante per le regole europee è definito al netto degli aumenti di entrate riconducibili a decisioni autonome ed esplicite delle amministrazioni decentrate (le cosiddette Discretionary Revenue Measure – Drm quali, ad esempio, un aumento delle aliquote Imu per i Comuni) poiché è sempre consentito creare spazi fiscali aggiuntivi di maggior spesa finanziandoli con il proprio sforzo fiscale. Quelle che invece potrebbero mettere a rischio il sentiero pluriennale di aggiustamento di bilancio sono le maggiori risorse – e quindi, potenzialmente, le maggiori spese – non riconducibili a scelte autonome di politica fiscale: le variazioni di gettito che riflettono l’elasticità delle basi imponibili locali agli andamenti dell’economia (pensiamo a tributi sensibili al ciclo economico, come le addizionali regionale e comunale all’Irpef), oppure le entrate che non siano catalogabili come risultato di decisioni discrezionali, come i proventi delle multe (e forse le entrate tariffarie, anche se sul punto c’è ancora incertezza sugli orientamenti in merito della Commissione europea).
Se si valuta che, data la struttura dei bilanci degli enti decentrati, le risorse che possono derivare da queste ultime forme di entrata siano relativamente limitate, sarà possibile continuare ad affidarsi al regime di disciplina di bilancio oggi applicato agli enti territoriali, che fa riferimento a una regola di saldo: conseguimento di un saldo di bilancio non negativo tra entrate e spese finali, da garantire nel complesso degli enti in ambito regionale e nazionale, come condizione per autorizzare spese di investimenti finanziate in indebitamento (legge 243/2012, art. 9).
Se invece l’entità delle entrate locali non riconducibili a scelte autonome di politica fiscale, o la difficoltà a prevederne l’evoluzione, fossero valutate rilevanti (le entrate tariffarie più quelle per multe, ammende e sanzioni sono state nella media degli ultimi anni pari a circa il 10% del totale delle entrate correnti dei comuni diverse dai trasferimenti), sarebbe opportuno intervenire sull’impianto attuale dei vincoli di bilancio per gli enti territoriali, imponendo direttamente, sempre a livello di comparto, un tetto alla dinamica della loro spesa primaria netta, coerente con gli obiettivi pluriennali di spesa per sotto-settori esplicitati nel Piano strutturale. Il ministero dell’Economia e delle Finanze verificherebbe così il rispetto del tasso di crescita della spesa del sotto-settore e, in caso di sforamenti, richiederebbe le correzioni necessarie prima di autorizzare il ricorso all’indebitamento. Si tratterebbe di un ridisegno delle regole di bilancio delle amministrazioni locali certamente più intrusivo rispetto alla loro autonomia di bilancio, ma esso sarebbe comunque più resiliente ai rischi di deviazione dal sentiero di spesa.
L’articolo di cui sopra è particolarmente dettagliato nell’analizzare cosa cambia, per Regioni e Comuni, a fronte dell’applicazione delle regole del nuovo Patto di Stabilità e Crescita, che vede vincoli fiscali più stringenti.
L’argomento è cruciale perchè forse non tutti sanno che gli Enti locali e territoriali sono responsabili di circa un terzo del totale della spesa pubblica. Essi, dunque, dovranno necessariamente concorrere al raggiungimento degli obiettivi fissati dai piani pluriennali di bilancio, che prevedono il rientro nei vincoli di bilancio statali su una programmazione di 4 oppure 7 anni. E le leve in mano al Governo dovranno essere gestite nelle sedi istituzionali di confronto.
E’ fondamentale anche ricordare che l’obiettivo primario è la responsabilizzazione delle Regioni e degli enti locali verso il raggiungimento degli obiettivi posti all’Italia a livello comunitario e mira a garantire allo Stato i necessari strumenti di coordinamento e controllo della finanza pubblica territoriale. Il concorso degli enti locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica assume il ruolo di principio costituzionale: l’articolo 119 della Costituzione, prevede, infatti, per i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni non solo l’obbligo dell’equilibrio di bilancio, ma anche l’obbligo di concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Una responsabilità condivisa, appunto. E’ l’intero sistema-Paese che è chiamato a dare il proprio contributo alla stabilità.
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