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L’Ue e le risposte politiche che è tenuta a dare
30 Giugno 2024 Confartigianato Puglia

I partiti, scrive Mauro Magatti in un editoriale pubblicato da Avvenire, si stanno confrontando con i risultati delle elezioni del 9 giugno scorso.

E a Bruxelles si sta negoziando sulla maggioranza che sosterrà la prossima Commissione europea. A partire dalla presidenza, per la quale, ad oggi, rimane favorita Ursula von der Leyen. Un passaggio obbligato della ritualità democratica, in vista della costruzione dei nuovi equilibri politici che reggeranno i prossimi anni dell’Unione. Utile, a condizione di non dimenticare quanto il voto ha lasciato intendere: il progetto europeo continua a godere di un certo consenso, ma il malcontento cresce, e va ascoltato e ricomposto. Il nuovo Parlamento e la prossima Commissione avranno quindi un mandato molto chiaro: delineare con chiarezza ed efficacia il modo in cui l’Europa vuole porsi in questi anni di profonda transizione.
Concretamente ciò significa rispondere a una serie di domande assai impegnative. Prima di tutto, in un momento di forte tensione – che ha nella crisi Ucraina uno dei punti focali – qual è il posizionamento internazionale della Ue? E soprattutto quale è il ruolo che l’Europa può giocare nel costruire le condizioni di una pace giusta e duratura? In secondo luogo, analizza Magatti, considerato che gli ultimi dati ci dicono che in Europa si contano 95 milioni di poveri (21% della popolazione), comesi pone l’Ue rispetto al tema delle crescenti disuguaglianze (sociali, generazionali, territoriali)? In terzo luogo, si ripete ogni giorno che stiamo entrando nel tempo dell’intelligenza artificiale. L’Europa si è già mossa con alcune iniziative importanti. Ma qual è l’idea di società ed economia che si vuole sviluppare nella transizione digitale? E quali politiche si vogliono seguire per intrecciare innovazione tecnologica e sostenibilità (ambientale e sociale)?

E infine, come rendere compatibili i principi della dignità della persona e dei diritti individuali – tipici della nostra cultura – con le politiche migratorie e la pressione umanitaria che cresce su tutte le nostre frontiere esterne? Si tratta di domande molto importanti. Che richiedono risposte molto concrete. Ma soprattutto una cornice di fondo, una idea di società, una direzione verso cui muoversi. Tutte sfide che non potranno essere affrontate senza un richiamo al progetto originario di un’ Europa come continente della pace e della giustizia. Un richiamo che non può essere retorico. Perché – come dimostrano gli ultimi trent’anni – il progetto europeo non avanza semplicemente grazie all’integrazione economica e alle pur utili direttive, che rischiano però sempre di avere un sapore burocratico e astratto. Per costruire un’Europa coesa è necessario definire la sua missione del mondo, il senso del suo voler essere unita. Con la consapevolezza, però, che né i partiti più consolidati (Popolari e Socialdemocratici) né le nuove destre sono al momento in grado di dare risposte soddisfacenti alle attese e alle paure dei cittadini europei.
Molti considerano l’Europa un continente ormai in declino. Irrimediabilmente vecchio. Se si vuole sfuggire a questo destino, l’unica via è restituire vitalità creativa al progetto europeo, risolvendo in modo originale il nodo che non riusciamo a sciogliere (che è poi quello che è all’origine della crisi nelle relazioni internazionali mondiali): come è possibile realizzare un’unità tra diversi? Che caratteri deve avere una nuova forma istituzionale che contempli diversi livelli di sovranità (europea nazionale regionale) senza per questo entrare in contraddizione con se stessa? Come tenere insieme il bisogno di essere “grandi” – il concetto di Europa Unita – con la valorizzazione delle tradizioni nazionali e locali che costituiscono il tessuto pluralistico del Vecchio Continente?

E come può quest’idea non ridursi a un’impalcatura burocratica fredda e distante dal destino delle persone e delle comunità? La risposta a questi interrogativi non può che essere politica. II che, molto concretamente, significa che è venuto il momento di mettere mano a quei problemi dell’assetto istituzionale dell’Unione che ne impediscono l’evoluzione. A cominciare dal diritto di veto, che di fatto azzoppa il progetto europeo e lo blocca nel gioco degli interessi contrapposti. A partire da qui sarà poi possibile sciogliere tutti gli altri nodi: la politica estera e migratoria, la creazione di una difesa comune, l’unione fiscale. Tutti passaggi che il momento storico rende necessari e urgenti. Al punto in cui siamo, non è più possibile sfuggire alla questione di fondo: o l’Europa sarà (in modo innovativo) politica oppure non sarà.

 

Queste elezioni europee si sono rivelate uno spartiacque. Dopo la terribile sfida della pandemia e la successiva crisi economica e poi energetica, con lo scoppio del conflitto in Ucraina e la necessità di nuovi approvvigionamenti energetici, il successivo aumento dell’inflazione, la recrudescenza della guerra in Medio Oriente e la maggiore assertività del Celeste Impero cinese, con la sua sfida lanciata sulla supremazia tecnologica, e la richiesta di investimenti in transizione verde e digitale, l’Europa del futuro dovrà farsi trovare pronta ad affrontare sfide che ne determineranno il futuro. L’Ue, data per spacciata perchè demograficamente vecchia, lenta negli investimenti e ancora eccessivamente divisa in 27 regimi fiscali e tributari diversi, senza un vero mercato unico dei capitali, è oggi chiamata ad affrontare tali sfide e a unirsi ancora di più, integrarsi ancora di più, e non a puntare sulle sovranità nazionali (come i partiti di estrema destra chiedono), per superare i pregiudizi attorno al suo futuro e, soprattutto, la sfiducia diffusa e il pessimismo degli europei.

Non vi è grande tema che non possa, e debba, essere affrontato da una maggiore integrazione e da fondi e risorse messi in comune, anche facendo debito comune come è accaduto per il Next generation Eu, che si spera non rimarrà un unicum. Come gestire la gigantesca pressione migratoria alle porte dell’Ue senza un progetto comune? E come affrontare le sfide militari, di cyber-sabotaggio e di intelligence, poste da Russia, Cina, Iran nonché organizzazioni terroristiche? Per non parlare degli Usa, maggiore mercato commerciale extra-Ue, che con un Trump di nuovo alla Casa Bianca rischierebbero di tornare su politiche protezionistiche molto dannose per l’Ue. Con il rischio che anche le spese militari nella Nato vengano ridotte. Da qui la necessità, Trump o non Trump, di rivedere i finanziamenti alla difesa comune, viste le crescenti minacce globali.
Non è più l’epoca dell’export-import selvaggio dalla Cina, manifattura del mondo e gigantesco mercato aperto, né degli Stati Uniti unici finanziatori della difesa europea, né del gas e petrolio russi a buon mercato.

Dunque, la necessità di risposte concrete ai cittadini europei da parte dei nuovi Parlamento e Commissione si fa urgente. A partire, come suggerito da Magatti, dall’abolizione del diritto di veto su decisioni strategiche del Continente, che vede l’Ue perennemente rallentata nei suoi processi decisionali a causa del veto anche solo di un unico Paese (spesso l’Ugheria, molto vicina a Putin). E’ il momento del coraggio e dell’ambizione. O sarà davvero troppo tardi.

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