E’ di ieri la notizia che il Senato ha dato luce verde al decreto del governo che, si spera, scrivono Luciano Capone e Carlo Stagnaro su Il Foglio, fermerà la valanga del Superbonus. E’ esattamente con questa immagine che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha illustrato la situazione che rischia di travolgere il bilancio pubblico. Ma è un’altra metafora, anch’essa evocata da Giorgetti, che meglio descrive la situazione: quella dell’abuso di una droga, che ha temporaneamente pompato le performance dell’Italia (come si vede dalla crescita del Pil) ma che ora richiede un percorso drastico di disintossicazione.
Motivo per cui, di fronte al male estremo dei conti fuori controllo, Via XX Settembre ha dovuto ricorrere all’estremo rimedio di una misura retroattiva e dolorosa come la spalmatura del credito fiscale su dieci anni (anziché quattro): una sorta di ristrutturazione del debito.
Su quali case intervenire? In questo contesto, ha ragione chi lamenta gli effetti negativi – di breve e di lungo termine – di un simile provvedimento. Rimane tuttavia senza risposta la domanda cruciale: cos’altro avrebbe potuto fare il ministro dell’Economia? La questione è determinante non solo perché riguarda la exit strategy dal disastro del Superbonus, ma anche perché ha un significato di più lungo periodo. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Ue – taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e net zero nel 2050 – la riqualificazione energetica degli edifici è un passaggio ineludibile. Senza contare gli obblighi della nuova direttiva sull’efficienza energetica negli edifici, che richiede enormi investimenti. In Italia esistono circa 36 milioni di abitazioni. Di queste, possiede l’attestato di prestazione energetica solo una su sette (5,3 milioni).
Oltre la metà si trova in classe G o F: 19,5 milioni. Ma in realtà, come ha illustrato in uno studio la Banca d’Italia, non si tratta di un campione rappresentativo: facendo una proiezione su tutto il patrimonio abitativo, ci sono “circa 9 milioni di case inefficienti in più”. Pertanto 28,5 milioni di abitazioni.
Allora ci si chiede: quali famiglie aiutare e come? Ciò determina anche un problema di natura distributiva: sono soprattutto le famiglie a basso reddito a vivere in abitazioni inefficienti e, quindi, a subire maggiormente l’incidenza della spesa energetica. Il 10% più povero della popolazione spende per il riscaldamento circa il 4% del proprio reddito, contro l’1,8% del decile più ricco. Inoltre, i prezzi di mercato premiano le case più efficienti: si stima un differenziale attorno al 25 per cento nel valore del metro quadro tra una casa in classe A e una in classe G. Quindi è necessario individuare strumenti razionali ed efficienti. E se nel passato c’era lo spazio per qualche eccesso di generosità, oggi, dopo la sbronza da Superbonus, ogni centesimo va speso in modo oculato. Che fare? Uno studio di un gruppo di ricercatori della Banca d’Italia descrive le agevolazioni negli altri Paesi. Quasi tutti mettono a disposizione crediti di imposta (nel range 15-30%), agevolazioni fiscali (riduzioni o azzeramento dell’Iva su alcune spese, come l’installazione dei pannelli fotovoltaici) o sussidi diretti (raramente superiori ai 10 mila euro a famiglia), talvolta potenziati nel caso delle famiglie a basso reddito. Non solo il bonus 110 per cento, ma anche il precedente 65 per cento era l’agevolazione più generosa al mondo. Le nuove aliquote proposte da Giorgetti (36 per cento dal 2025 e 30 percento dal 2028 fino al 2033) sono in linea con la parte alta della forchetta a livello internazionale.
Resta da capire se un contributo significativo – ma molto inferiore ai livelli degli ultimi decenni – sarà sufficiente a sostenere quel ciclo di investimenti di cui vi è fortemente bisogno. Certamente, il disegno del governo coglie un aspetto finora ignorato: anziché proporre un bonus estremamente elevato ma di durata limitata (tipicamente annuale), meglio un’agevolazione contenuta ma con un orizzonte temporale più lungo. La sostenibilità finanziaria non può essere un optional. L’agevolazione potrebbe essere resa più generosa per i condomini, che normalmente presentano maggiori difficoltà di intervento e che sono sovente meno efficienti rispetto alle abitazioni indipendenti. Inoltre, nei condomini una minoranza di inquilini può ostacolare interventi che necessariamente coinvolgono anche chi non è favorevole o che non può permetterseli.
C’è poi un altro aspetto, che riguarda non solo il lato finanziario. Una delle conseguenze positive del Superbonus è stato il coinvolgimento dei venditori di energia. Questi soggetti, che hanno rapporti continuativi col cliente, sono stati veicolo di informazione e ingaggio dei consumatori. Perché non responsabilizzare ulteriormente gli operatori spingendoli a diventare parte attiva dello sforzo per l’efficienza energetica? In parte sta accadendo, complice il superamento della maggior tutela e il passaggio al mercato libero. Tuttavia, restano alcuni ostacoli. Il principale riguarda la possibilità di mettere vincoli alla permanenza dei clienti all’interno di un’offerta. Questa possibilità era vietata fino a poco tempo fa. Col recepimento della nuova direttiva sul mercato elettrico nel 2021, è stato aperto uno spiraglio, seppure limitatamente al settore elettrico e solo per le offerte a prezzo fisso. Inoltre, ovviamente, nel caso in cui un cliente abbandoni prima della scadenza un’offerta che include anche altri prodotti o servizi (per esempio l’installazione di pompe di calore o pannelli fotovoltaici) il valore di questi ultimi deve essere interamente corrisposto. Ma la costruzione di relazioni stabili nel tempo facilita queste operazioni. Sarebbe quindi opportuno trovare strumenti che, pur salvaguardando la libertà del consumatore, consentano di creare garanzie reciproche tali da spalmare gli investimenti su un periodo di fatturazione sufficientemente lungo.
Ma ciò investe anche un altro aspetto: la classe energetica degli edifici migliora se questi hanno i pannelli fotovoltaici sul tetto. Ma non sempre ciò è possibile e non sempre tutti sono d’accordo. Si potrebbe allora immaginare un meccanismo per garantire un vantaggio (economico o di altro tipo) se gli inquilini sottoscrivono contratti di lunga durata che prevedono la realizzazione di nuova capacità rinnovabile da parte dei fornitori di energia. Tali contratti potrebbero poi diventare cedibili a terzi o portabili: ciò che conta, ai fini del sistema, è che una quantità sempre maggiore di energia sia decarbonizzata. Se, ipoteticamente, tutta l’energia elettrica è verde e tutto il metano è sostituito da gas a basse emissioni, allora i consumi sono un problema solo per la bolletta del consumatore, ma non per l’ambiente. E, naturalmente, queste possibilità andrebbero estese anche al mercato del gas, anzi, per certi versi sarebbero ancora più necessarie, perché è proprio il gas e gli utilizzi non facilmente elettrificabili a rappresentare uno dei principali fattori di emissioni negli edifici. Insomma, ci sono molte cose che il governo può fare per aiutare gli investimenti nell’efficienza energetica degli edifici, spendendo meno di quanto è stato fatto col Superbonus, se solo si accetta di fare leva sulla creatività delle imprese. L’esatto contrario della logica che ha caratterizzato le politiche energetiche degli ultimi anni, basate sull’erogazione di sussidi e la sfiducia nei confronti del mercato. Adesso, però, è giunto il momento di provare a fare di necessità virtù.
La direttiva Ue è una spada di Damocle ormai. Ma le soluzioni per riqualificare le case dopo il pasticcio sui conti pubblici provocato dal Superbonus (la valanga, come l’ha definito Giorgetti) è possibile, anzi auspicabile dopo l’ubriacatura di questi anni. E’ fondamentale rientrare nei ranghi. E, come visto, le soluzioni non mancano di certo, anche prendendo spunto dagli altri Paesi Ue e con un occhio alla tutela delle fasce più deboli della popolazione.
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