Non è un vero e proprio fondo sovrano, scrive Francesco Manacorda su La Repubblica Affari&Finanza, piuttosto si tratta di un fondo sovranista: si tratta di un progetto che si sta studiando nelle stanze della Lega e in quelle del ministero dell’Economia, non a caso occupate spesso dai medesimi inquilini (il ministro Giancarlo Giorgetti è in quota Lega) . Un intenso dibattito è in corso da settimane, avendo come principali esponenti il leghista Giulio Centemero, della commissione Finanze del Senato, e il sottosegretario all’Economia Federico Freni, impegnati a preparare il debutto di un fondo di fondi destinato a investire nelle piccole e medie imprese quotate alla Borsa di Milano. Il perno di questo fondo sarà la Cassa depositi e prestiti grazie a un emendamento leghista che modifica il regolamento del cosiddetto Patrimonio destinato: l’iniziativa post-pandemia, nata per aiutare temporaneamente le imprese in una fase di difficoltà, assume così un carattere strutturale. Lo fa in un momento, quello della probabile riconferma dei vertici della stessa Cdp, a partire dall’amministratore delegato Dario Scannapieco, che offre scarse possibilità di resistenza da parte della stessa Cdp anche a eventuali torsioni della sua missione originaria. La Cassa, dunque, nel progetto della Lega, sarà il perno di questo nuovo fondo di fondi, con una quota del 49% del capitale e un impegno finanziario che potrebbe arrivare a 500 milioni di euro, da affiancare ad altri 500 milioni apportati da investitori privati, in prima linea fondi d’investimento, fondi pensione ed enti previdenziali. Certo, non c’è troppo da scandalizzarsi, scrive Manacorda, all’idea di uno strumento misto pubblico-privato, che spinga la liquidità sui titoli delle piccole e medie imprese quotate. Ad esempio, in Francia esiste una misura simile, mentre la Svezia obbliga gli investitori nazionali a mettere una piccola quota nelle imprese svedesi e la stessa Gran Bretagna ha misure simili. Segno dei tempi in cui la globalizzazione arretra e i protezionismi avanzano ovunque, probabilmente.
Il problema, dunque, non è tanto il cosa, quanto il come. Chi garantirà che la missione del fondo “spingi imprese”, voluto dal governo, sia uno strumento che opera davvero a condizioni di mercato e non diventi un mezzo per sussidiare alcune aziende o, peggio ancora, per favorirne alcune a scapito di altre? E un’aria di patriottismo economico così spinto lascia fuggire anche qualche voce poco condivisibile. È il caso del presidente di AssoNext, ossia le piccole imprese quotate, Giovanni Natali, che ha spiegato come, alla luce dello scarso entusiasmo dei fondi pensione italiani per la piazza finanziaria nazionale, «i contributi dei risparmi, di fatto forzati, dei lavoratori italiani vanno a finanziare imprese estere che fanno concorrenza, e questo non è più accettabile». Resta da chiedersi se dalle parti del fondo Calpers, che si occupa delle pensioni dei dipendenti pubblici californiani, o di qualsiasi altro fondo pensione straniero fiocchino le critiche perché magari investe su grandi gruppi (pochi, purtroppo) del made in Italy o su qualche brand del lusso francese che ha dato molte soddisfazioni agli azionisti. Tanta spinta per donare l’oro alla patria, in nome dello sviluppo delle piccole e medie imprese e della maggiore liquidità sul loro mercato, rischia poi di scontrarsi frontalmente con l’interesse legittimo di chi mette i suoi risparmi in un fondo d’investimento o ancor più un fondo pensione. A chi gestisce i nostri denari si chiede ovviamente di gestirli massimizzandone il rendimento, anche su tempi lunghi, e in un’ottica di allocazione su scala globale è difficile che le Pmi italiane, con l’Italia intera che vale circa l’1% del Pil mondiale, possano attirare percentuali molto più alte di quelle che si vedono oggi. Messi di fronte alla scelta tra sostenere le piccole e medie imprese italiane e massimizzare il rendimento dei vostri risparmi, diversificando anche il più possibile il rischio Paese, voi che fareste?
Chi vuole investire sul Paese, ottenendo al tempo stesso buoni rendimenti, può sempre affidarsi ai titoli di Stato: le martellanti campagne pubblicitarie sui Btp Valore, con i buoni tassi attuali e il vantaggio fiscale concesso a chi detiene strumenti di questo tipo, li rendono un investimento di sicuro interessante. Ma chi li spinge è proprio quel governo che con una mano drena risparmio dal mercato delle quotate e con l’altra cerca di immettere in modo più o meno artificiale liquidità verso le stesse aziende.
Lo strumento immaginato dalla Lega, attualmente parte della maggioranza di governo, lascia perplessi. Imperniato sulla Cassa depositi e prestiti, con una retorica che mira al rilancio delle piccole e medie imprese tricolori, in realtà si presenta come sospinto dal puro e semplice patriottismo finanziario. Per non dire, sovranismo.
Questo perchè attualmente non vi sono garanzie reali e affidabili che tale fondo “sovrano” possa davvero operare a condizioni di mercato e non diventi, invece, un mezzo, neanche troppo velato, per sussidiare alcune imprese quotate alla Borsa di Milano a scapito di altre. Andando, tra l’altro, a danneggiare gli interessi degli stessi risparmiatori, che puntano a massimizzare il proprio investimento, senza guardare alla nazionalità dei soggetti coinvolti. La supremazia della nazione di appartenenza è un concetto che, appunto, si applica alle teorie sovraniste, non al mondo della finanza, che punta giustamente al massimo profitto del risparmiatore.
E mentre una compagine della maggioranza immagina uno strumento di questo tipo, allo stesso tempo il governo però, tramite il Tesoro, drena risorse dal mercato delle quotate con massicce emissioni di Btp, pompando più o meno artificialmente liquidità verso le stesse aziende. Una evidente schizofrenia.
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