Nello scorso weekend, scrive Rosanna Lampugnani su L’Economia del Corriere del Mezzogiorno, che appena un italiano su due si è recato ai seggi per votare il rinnovo del Parlamento europeo, anzi meno: esattamente il 49,69% degli aventi diritto. Perché questa forte astensione? Probabilmente perché pochi sanno cos’è l’Unione europea, di cosa si occupa, al massimo sanno che c’è un Parlamento, una Commissione che è praticamente il governo dell’Europa, il Consiglio che riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri della Ue. Ma l’organizzazione di Bruxelles ha anche un altro soggetto di grande importanza, praticamente sconosciuto ai più: il Comitato economico e sociale europeo (Cese) con ruolo meramente consultivo, composto da 329 membri, di cui 24 sono italiani (stesso numero per Francia e Germania). I membri vengono designati dai governi nazionali e nominati dal Consiglio con un mandato di 5 anni e sono suddivisi in tre grandi gruppi: datori di lavoro (1), lavoratori (2), diversità (3), cioè cooperative, ambientalisti, espressioni diverse della società. Prima di varare direttive, norme di varia natura Commissione e Parlamento devono obbligatoriamente ottenere il parere del Cese che, pur non vincolante, è nella sostanza cruciale: esprime, infatti, l’opinione dei 450 milioni di europei, che così, attraverso la mediazione del Comitato, in qualche modo “entrano nel processo normativo europeo”.
A spiegare l’importanza del Cese è Cinzia Delrio, che fa parte del gruppo 2 di cui è presidente dallo scorso anno. Delrio, che si è sempre occupata di politiche internazionali, prima per la Uil, poi in un’agenzia Onu e quindi nel Cese dal 2015, è stata relatrice del parere sul salario minimo prima che fosse emanata la direttiva: ecco un ottimo esempio per capire cosa fa il Cese. Del salario minimo si parla a Bruxelles da 5, 6 anni ed è stato chiesto al Comitato un’opinione esplorativa per capire l’orientamento del mondo del lavoro europeo e quindi del mondo delle imprese e della società civile su questa importante questione. Una volta al lavoro il gruppo 2, attraverso una serie di riunioni, ha discusso delle norme già in vigore in 22 Stati, perché solo 5 (Italia, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia) sono privi di una legge di tutela dei lavoratori con il salario minimo, affidandosi del tutto alla contrattazione collettiva. Per arrivare al parere finale si sono dovuti superare vari ostacoli, per esempio quelli frapposti dal gruppo 1 degli imprenditori quando la proposta è arrivata all’assemblea plenaria del Cese; ma il principio fondamentale del documento finale, ovvero l’adeguatezza che il salario deve avere per garantire al lavoratore una vita dignitosa (il costo della vita è una variabile enorme per essere comune denominatore di salario minimo valido per tutti i 27 Paesi), è diventato il perno della proposta, sostanzialmente accolto nella direttiva finale.
«Tra tanti distinguo, abbiamo dovuto tener conto anche del differente livello di contrattualizzazione presente nei 27 Paesi: per esempio Italia e Francia sono al 97%-98%, Bulgaria e Romania al 22%, e più in generale nei Paesi dell’Est europeo i lavoratori hanno diritto solo ai salari e poco più, privi di altre tutele». Delrio precisa che seppure i pareri del Cese non abbiano valore giuridico, essendo sostanzialmente atti politici, sono comunque “pesanti” e intervengono su tutte le tematiche di lavoro della Ue, suddivise dal Cese in sei sezioni (politiche economiche, agricoltura e green deal, energia, relazioni esterne e commercio, mercato interno e lavoro). “Pesante” è anche il parere richiesto alla Commissione consultiva per la trasformazione industriale (Ccmi), nata nel 2002 alla scadenza della Ceca, il nucleo fondatore dell’Unione europea, e che fa capo al Cese.
Il Ccmi abbraccia tutti i settori produttivi, è composto per metà dai consiglieri dello stesso Comitato e per metà da soggetti chiamati dall’esterno, senza vincoli geografici. Tra i primi c’è Pietro De Lotto, professore di economia industriale a Trieste, dirigente della Confartigianato vicentina per 12 anni e approdato a Bruxelles nel 2020, come membro del gruppo 1 del Cese; poi da qui alla presidenza del Ccmi il passo è stato breve. Lampugnani gli pone una domanda secca: come si fa a rappresentare in modo pulito gli interessi di un territorio? «A differenza dei grandi gruppi noi agiamo con il principio del consenso. Quando siamo chiamati a elaborare dei pareri, obbligatori, lo facciamo mediando su posizione opposte – penso, per esempio, a quelle espresse dal gruppo 2 dei lavoratori – dovendo raggiungere un punto di equilibrio tra i vari territori dell’Unione e il risultato finale può essere anche divergente rispetto a quello auspicato da interlocutori forti, come per esempio Confindustria europea». Ma il nodo centrale della spiegazione di De Lotto è un altro: «Nel Cese, negli ultimi anni, il dibattito non si è sviluppato tanto tra tre gruppi e il Ccmi, quanto tra nazionalità. Già un po’ prima del Covid le politiche trumpiane avevano fatto saltare il tradizionale multilateralismo, a cui si sono poi aggiunti i cambiamenti epocali delle tecnologie, dell’intelligenza artificiale che stanno stravolgendo la geopolitica. Cito Draghi quando dice che in 25 anni sono stati fatti errori importanti: l’Europa ha delegato la sicurezza alla Nato, l’energia a Putin e la manifattura alla Cina, ritrovandosi sempre più frammentata e fragile, incapace di compiere scelte strategiche — anche a causa dei tanti vincoli posti dalla stessa Ue—mentre al contempo mercato interno è diventato un supermercato privo di tutele per imprese e consumatori. Chi persegue la demolizione delle istituzioni e delle competenze europee aggrava questa situazione, ma l’Europa uscita dal voto, per fortuna di tutti noi europei, confermerebbe l’assetto che, pur tra molti errori, ha permesso alla Ue, ai singoli Stati, alle singole Regioni — penso a quelle del nostro Mezzogiorno in particolare — di mantenere un ruolo importante per affrontare le varie temperie», conclude De Lotto.
Il Cese è un organismo parte integrante delle istituzioni europee che davvero in pochissimi conoscono, poiché non ha potere decisionale né può emettere direttive o decisioni vincolanti. Eppure è un peccato si sappia così poco di tale organismo, dal momento che esso viene costantemente consultato da Parlamento e Commissione europea dovendo rappresentare, con l’eterogeneità dei suoi membri, suddivisi in tre sottogruppi, l’eterogeneità degli elettori europei, che ammontano a circa 450 milioni di individui.
Il Cese, ovvero il Comitato economico e sociale europeo, è dunque un organo consultivo di rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e di altri gruppi d’interesse composto da 329 membri che arrivano naturalmente da tutti i Paesi Ue. Il ruolo del Cese potrebbe essere importante per il Mezzogiorno poiché affronta temi caldi, e propone pareri che devono necessariamente essere presi in considerazione da Commissione e Parlamento, come concerne il salario minimo.
Portando avanti gli interessi di un territorio, è possibile incidere a livello comunitario influenzando il dibattito politico europeo. I tre compiti del Cese, infatti, sono: assicurare che la politica e la legislazione dell’UE si adattino alle condizioni socioeconomiche ricercando un consenso proficuo per il bene comune; promuovere la partecipazione nell’UE dando alle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e ad altri gruppi di interesse la possibilità di esprimersi e assicurando il dialogo con tali interlocutori; promuovere i valori dell’integrazione europea sostenendo la causa della democrazia partecipativa e le organizzazioni della società civile.
Dunque, è evidente che portare gli interessi del nostro Meridione in un agone di questo livello non può che spingere il focus su temi per noi cruciali, offrendo la possibilità di esprimere un’opinione sulle iniziative
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