Il corrispondente da New York de La Repubblica Paolo Mastrolilli spiega come la recente missione del Fondo Monetario Internazionale a Roma sia stata sicuramente costruttiva, ma come allo stesso tempo siano anche emerse differenze di vedute, e almeno tre questioni cruciali da affrontare per il futuro del nostro Paese. Tutte da affrontare con coraggio: la cancellazione del Superbonus, e delle altre misure inutili per la crescita o insostenibili sul piano fiscale; il surplus dell’avanzo primario del 3%, da realizzare nel giro di un paio di anni, che secondo il Governo italiano rischia di esporci alla recessione o comunque a una seria frenata; la proroga del Pnrr, a cui il Fondo è favorevole, accelerando però la sua applicazione e l’efficienza con cui viene realizzata. Il tutto partendo dal presupposto che l’Italia deve ridurre debito e deficit, assai più rapidamente di quanto non abbia previsto finora il Governo, se vuole avviarsi sulla strada di una crescita solida e sostenibile nel tempo, evitando i rischi di nuove crisi. E questo sulla base di una stringente analisi tecnica, non politica. Nei corridoi dell’Fmi si sottolinea lo spirito di collaborazione durante la visita per l’Articolo IV, senza però nascondere le difficoltà. Il deficit va ridotto, ora e anche più rapidamente di quanto abbia pianificato il governo, perché ne va della sicurezza economica dell’Italia. Perciò è necessario lavorare tanto sulle entrate, quanto sulle spese. Il punto di partenza dovrebbe essere l’eliminazione di tre categorie di misure adottate e tuttora in vigore: quelle bocciate nel merito, come il famigerato Superbonus, perché inutili o dannose; quelle che non sarebbero necessariamente sbagliate nel merito, come il cuneo fiscale, ma che non sono sostenibili nella forma attuale; e poi quelle da eliminare comunque, perché non si può continuare a finanziarle in deficit. L’Fmi richiede la cancellazione del Superbonus e Giorgetti è d’accordo. Su questo punto il ministro dell’Economia e il Fondo si sono trovati sulla stessa linea, ma l’ostacolo principale è il Parlamento italiano che frena. Se ne riparlerà dopo le elezioni Europee, però l’aspettativa per un intervento non cambia.
Mentre sulla richiesta di un surplus del 3% dell’avanzo primario c’è stata una discussione molto intensa, non solo col Governo, ma anche con altre istituzioni come la Banca d’Italia. I vari interlocutori italiani, infatti, hanno fatto notare che richiederebbe una correzione di circa 60 miliardi di euro, che non si capisce bene da dove dovrebbero arrivare. Tutto questo ci esporrebbe al rischio di una recessione, o quanto meno di una frenata significativa della crescita. Eppure su questo punto il Fondo non ha dato l’impressione di essere disposto a mollare. C’è l’esigenza di agire più rapidamente sulle garanzie, nel timore di dover fronteggiare una crisi, che potrebbe nascere da una discesa dei tassi meno veloce del previsto. Ciò esporrebbe alcune imprese al rischio di fallimento, con i relativi problemi per la finanza pubblica.
Per quel che concerne il Pnrr, invece, il Fondo è apertamente favorevole al rinvio, perché non crede sia logico restare ancorati alla scadenza iniziale del 2026, rischiando così di perderne molti benefici. Il problema è che i ritardi nell’applicazione sono così gravi da far presumere che un anno di proroga non basterebbe a sanarli e servirebbe a poco nella sostanza dei nostri conti. L’istituzione finanziaria di Washington ha indicato alcuni interventi sul lato delle entrate e della spesa, come l’età del pensionamento, ma non è entrato molto nei dettagli. Se ne riparlerà a luglio, quando le elezioni europee saranno archiviate, il governo non avrà più il problema di perdere voti nell’immediato, e l’Fmi indicherà misure più specifiche con il suo rapporto Articolo IV.
Il Fondo ha ribadito anche la necessità di elaborare un piano fiscale strutturale di medio termine, da far seguire al Pnrr. Ciò fa riferimento soprattutto alle nuove regole europee per l’elaborazione dei bilanci, che comunque da ora in poi richiederanno questo genere di programmazione, monitoraggio e trasparenza.
Ma la visita ha riguardato anche lo stato di salute delle banche, che sono in condizioni molto più solide di dieci o quindici anni fa. Resta però la sollecitazione ad usare una parte dei significativi profitti incassati per ricostituire i buffer, il che significa “mettere fieno in cascina” in vista di possibili problemi, che potrebbero venire dal calo del costo del denaro più lento rispetto al previsto. Quanto alla forza lavoro, oltre alla sollecitazione già fatta durante i meeting di aprile ad utilizzare meglio l’immigrazione, si ribadisce, ancora una volta, la necessità di coinvolgere di più le donne, atavico punto debole del mercato occupazionale del nostro Paese.
L’allarme del Fondo monetario sui conti pubblici italiani non lascia spazio a equivoci: secondo economisti e analisti dell’Istituto con sede a Washington, il Governo italiano dovrebbe attuare una manovra da circa 60 miliardi in due anni per riuscire a sanare il bilancio statale. L’accordo sulla fine del Superbonus c’è, a tutti gli effetti, visto che il ministro dell’Economia Giorgetti non ha mai negato di voler abolire la misura, che ha profondamente affossato i già malconci conti pubblici e che ha avuto scarsi effetti sulla crescita reale del Paese. Allo stesso modo c’è la stessa veduta su un possibile allungamento delle scadenze del Pnrr: la data-capestro del 2026 rischia di annullare molti dei vantaggi che il Pnrr porta con sé, mettendo fretta a progetti che hanno inevitabilmente bisogno di tempi più ampi per la loro realizzazione. E che rischiano di saltare a causa delle imminenti scadenze. Il che sarebbe uno spreco imperdonabile.
Ma sulla necessità di fermare tutte le misure in deficit, si aprono spazi di disaccordo. L’avanzo primario, anche a causa del ritorno dei paletti rigidi del Patto di Stabilità e Crescita, rischia di saltare, dunque su questo punto il Governo deve muoversi in fretta. Ma ridurre la spesa e aumentare la crescita e gli investimenti “sani” non è così semplice. Eppure, su questo punto il Fmi è stato tassativo.
Ancora una volta, la lotta tra interessi politici ed economico-finanziari del nostro Paese si intreccia e mette a nudo tutte le difficoltà delle scelte da compiersi per quel salto di qualità che anche l’Ue ci chiede.
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