Marco Fortis, su Il Foglio, scrive che in base alle statistiche dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) relative al 2023, l’Italia figura sesta nelle esportazioni globali, con un export di 670 miliardi di dollari (626 miliardi di euro secondo l’Istat). Escludendo però i Paesi Bassi, le cui esportazioni sono costituite in gran parte da sole merci in transito nei porti e non da un effettivo export di prodotti olandesi, l’Italia è in realtà addirittura il quinto esportatore mondiale, dopo Cina, Stati Uniti, Germania e Giappone. Se poi escludessimo le auto, che pesano fino al 10-15 per cento nelle esportazioni di singoli Paesi come Germania, Corea del Sud e Giappone, ma che costituiscono soltanto il 3% degli scambi mondiali, l’Italia è addirittura il quarto esportatore nel restante 97% del commercio internazionale, in virtù di una specializzazione merceologica estremamente diversificata e non legata a pochi macro-settori dominanti. Infatti, escludendo le auto, l’export italiano (657 miliardi di dollari) è ampiamente superiore anche a quello del Giappone (607 miliardi). Un bel successo per un Paese come il nostro che fino a una decina di anni fa era considerato in declino dalla maggior parte degli economisti (specialmente italiani) e giudicato come un perdente sicuro nel quadro della competizione globale.
Dunque chi parlava di declino si è clamorosamente sbagliato. Niente affatto. Anzi, nel 2023 l’Italia ha nuovamente superato per valore totale delle esportazioni la Corea del Sud (che dal 2010 ci aveva sorpassati) ed è ormai a soli 40 miliardi di dollari di distanza dall’export complessivo del Giappone (717 miliardi di dollari), un Paese con una popolazione più che doppia della nostra. Negli ultimi sette anni, rispetto al 2015, l’export totale di merci dell’Italia è stato il più dinamico del G7 ed è cresciuto in dollari correnti del 48%, cioè quasi del doppio rispetto a quelli di Francia (+28%) e Germania (+27%) e di oltre il triplo rispetto agli export di Giappone (+15%) e Regno Unito (+12%). Inoltre, le nostre esportazioni hanno prevalso anche su quelle di due Paesi avvantaggiati dalla grande disponibilità di materie prime ed energia e dal loro recente rincaro come Canada (+38%) e Stati Uniti (+34%). Chi, sulla base di vecchi luoghi comuni o di analisi ormai superate, continua a descrivere un’Italia come nazione industriale con bassa produttività o non competitiva, arretrata sul piano della tecnologia e dell’innovazione, sta semplicemente guardando un altro film rispetto alla realtà. In molti sono tratti in inganno dai dati medi dell’Italia sulla produttività manifatturiera, che sono distorti dall’enorme numero di micro-imprese della classe con meno di 10 addetti (292 mila imprese nel 2021) e anche della classe 10-19 addetti (37 mila imprese) che caratterizza il nostro sistema produttivo fatto di distretti e filiere. Ma non sono le microimprese quelle con cui l’Italia compete sui mercati internazionali. Forse non tutti sanno che la nostra forza risiede in un nucleo di circa 9 mila aziende esportatrici medie, medio-grandi e grandi con 50-1.999 addetti, che realizzano i tre quarti del nostro export manifatturiero, nonché in un ulteriore ristretto gruppo di una quarantina di imprese con oltre 2 mila occupati, che esportano un altro 12 per cento circa. In questo tipo di imprese di maggiori dimensioni e orientate all’export, se analizziamo i livelli di produttività, battiamo addirittura la Germania. Infatti, la produttività del lavoro delle medie imprese italiane con 50 – 249 addetti, data dal valore aggiunto per occupato, è di ben 16 mila euro più alta di quella delle corrispondenti imprese tedesche (dati Eurostat riferiti al 2021). E persino nelle imprese medio-grandi e grandi teniamo testa alla Germania, specie se escludiamo il settore auto. Ciò perché siamo davanti ai tedeschi anche nella classe delle imprese con 250 e più addetti in numerosi settori manifatturieri, dall’alimentare all’abbigliamento-calzature, dalla gommaplastica alla metallurgia, dalle ceramiche ai mobili. Non solo. Anche in termini di crescita, la produttività del lavoro della manifattura italiana è aumentata di più di quella tedesca dal 2015 al 2023. I livelli tecnologici e di innovazione delle nostre imprese esportatrici, specie dopo la rivoluzione del Piano Industria 4.0, sono ormai elevatissimi così come quelli della robotizzazione, dove, ad esempi, siamo quarti al mondo per robot installati nella meccanica o terzi nell’industria alimentare. Un altro grande asset del nostro Paese è la differenziazione dei prodotti esportati. Basti pensare che nel 2023 l’Italia ha potuto vantare ben 110 prodotti della classificazione HS a 4 cifre del commercio internazionale, superiore ai 500 milioni di dollari. Ben 89 di tali 110 prodotti, ovvero la maggior parte, appartengono a quelli che la Fondazione Edison ha denominato i “magnifici 7” settori del made in Italy. A tali 89 prodotti si aggiungono altre due voci, una a 2 cifre, i mezzi aerospaziali, e una a 6 cifre, le autovetture superiori ai 3.000 cc. (leggasi Ferrari), che vanno a completare il quadro dei 91 nostri prodotti di eccellenza e di maggiore specializzazione internazionale.
Considerando invece la disaggregazione statistica HS a sei cifre, risulta che l’Italia è stata nel 2022 il primo esportatore mondiale di 201 prodotti, 17 dei quali con un export superiore al miliardo di dollari e altri 13 con un export compreso nell’intervallo da 500 milioni di dollari fino a 1 miliardo. Ad essi si aggiungono altri 75 primati mondiali di prodotti con esportazioni comprese nell’intervallo da 100 milioni fino a 500 milioni e ulteriori 32 prodotti con esportazioni comprese tra i 50 e i 100 milioni di dollari. Nel complesso, i primati mondiali italiani di prodotto con un export superiore ai 50 milioni di dollari sono risultati nel 2022 pari a 137.
In linea generale, l’esportazione dei 137 prodotti in cui l’Italia è risultata nel 2022 il primo esportatore mondiale con un export individuale di almeno 50 milioni di dollari è stato pari a 70,2 miliardi di dollari. Tra i nostri primati mondiali di punta vi sono, solo per citarne alcuni: piastrelle ceramiche, navi da crociera, yachts a motore, occhiali da sole, macchine per imballaggio e loro parti, pasta, preparati di pomodoro, calzature in pelle, portafogli e cinture in pelle, macchine per riscaldare gli alimenti, macchine per l’industria della pasta e dei prodotti da forno, prosciutti, vermuth, aceti, pelli bovine conciate e tessuti con almeno l’85% di lana o peli fini, presse per lavorare i metalli, macchine per la lavorazione delle ceramiche, macchine utensili per i metalli piegatrici, raddrizzatrici o spianatrici per prodotti piani.
I numeri, le statistiche, le quote: le cifre nude, prive di connotazioni politiche e influenze ideologiche, parlano chiaro, senza equivoci. E parlano di un Paese nient’affatto sull’orlo del baratro, fanalino di coda di tutti i partner occidentali e destinato perennemente ad arrancare. Anzi: le cifre mostrano un Paese industriali, con uno zoccolo duro di piccole, medie e grandi imprese altamente tecnologizzate, innovative, con quote di export massicce, in grado di mostrare livelli di competitività e produttività superiori anche a quelli della corazzata tedesca.
L’Italia ha insomma scalato l’export mondiale, addirittura oggi siamo al quinto posto nelle esportazioni globali, superando anche un forte Paese con decisa vocazione all’export quale è la Corea del Sud. Ma c’è di più: escludendo il settore auto, l’Italia diventa quarta, superando finanche il Giappone. Nella competizione globale l’Italia è un vascello veloce, che supera corazzate più lente e meno flessibili nell’adattarsi ai cambiamenti digitali e delle filiere produttive.
Negli ultimi sette anni, rispetto al 2015, l’export totale di merci dell’Italia è stato il più dinamico del G7, crescendo del 48%, e doppiando così gli eterni rivali Francia e Germania.
Moda, cibo, vini e tabacco, mobili e materiali da costruzione, prodotti siderurgici e metallurgici, macchinari, yachts, equipaggiamenti da trasporto, prodotti medicali e per la cura personale: settori enormemente cresciuti, anche grazie alle agevolazioni e incentivi introdotti da Industria 4.0. Dunque, come si vede, quando provvedimenti e incentivi rivolti alle imprese vengono ben ideati, finanziati e messi in campo con rigore, essi producono risultati evidenti. Senza fiumi di denaro a pioggia, ma con riforme ben focalizzate sui bisogni del sistema produttivo. E’ questa la strada da seguire per non perdere la nostra competitività. Il nostro primato di cui, per una volta, essere orgogliosi.
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Il pugliese Pietro Guadalupi vicepresidente di Confartigianato Imprese del verde
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