La cosiddetta space economy è destinata a crescere su scala mondiale a 1,8 trilioni di dollari nel 2035 rispetto ai 630 miliardi del 2023 secondo il World Economic Forum, scrive Valentina Iorio su Il Corriere della Sera. «Il tasso di crescita in questi anni è stato più alto del previsto, ma sono valori sottostimati perché non abbiamo ancora una misura precisa del valore dell’indotto. Sarà l’economia del futuro e aprirà nuove e interessanti opportunità di carriera», spiega sul Corriere Simonetta Di Pippo, professor of practice di Space Economy e direttrice dello Space Economy Evolution Lab alla Sda Bocconi.
Ebbene, in questo contesto, a differenza di quello che molti possono credere considerando l’atavica lentezza degli investimenti in settori strategici nel nostro Paese, a sorpresa l’Italia si posiziona nella top ten per investimenti nel settore spaziale in relazione al Pil. «Siamo uno dei pochi Paesi che vantano la capacità di avere copertura su tutta la filiera dai lanciatori e satelliti alla gestione del dato. Siamo diventati il terzo Paese contributore dell’Agenzia spaziale europea (ESA), dopo Francia e Germania, e il primo per programmi opzionali», ha aggiunto Di Pippo.
Del ruolo delle imprese italiane in questo settore e degli strumenti tecnologici e finanziari che possono favorirne la crescita si è discusso ieri al Galileo Festival di Padova. In questa competizione serrata in un ambito in piena evoluzione, i privati sono in prima linea ormai. “Con la commercializzazione di tecnologie, programmi e infrastrutture c’è stato un cambio di politica radicale, come era avvenuto con Internet. L’Italia ha le capacità e le competenze per giocare bene la partita, dobbiamo evitare di rifare gli errori fatti in passato: con la Olivetti eravamo 12esimi al mondo e siamo diventati 37esimi nel giro di 10 anni”, ha sottolineato Gianluca Dettori, presidente e general partner di Primo Ventures, che ha nel portafoglio Primo Space, il primo fondo di venture capital italiano specializzato nel settore space tech e uno dei primi al mondo.
Una sfida che coinvolge il mondo delle imprese e della ricerca e che riguarda diversi settori, compresa sorprendentemente l’agricoltura. “Quello su cui stiamo lavorando è creare un ecosistema biorigenerativo di supporto alla vita nello spazio, in cui interagiscono organismi biologici differenti come avviene sulla Terra, tenendo conto delle diverse condizioni che ci sono nello spazio. Al bordo dell’Iss esistono già delle facility in cui vengono coltivati ortaggi», ha raccontato Stefania De Pascale, docente del dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e responsabile del Laboratory of Crop research for Space. «Questo tipo di ricerche si moltiplicheranno con le stazioni commerciali che diventeranno dei veri e propri laboratori», ha sottolineato Walter Cugno, responsabile Dominio esplorazione e scienza di Thales Alenia Space Italia, che a Torino sta già realizzando i primi due moduli della stazione spaziale privata Axiom (ancora una volta, i privati fanno da apripista nell’innovazione tecnologica).
Si stima che nel 2035 il valore del settore della space economy si aggirerà ormai intorno ai 1.800 miliardi di euro, rispetto ai 630 miliardi quantificati nel 2023. Insomma, un vero e proprio boom.
In quest’onda di innovazione che cresce senza limiti apparenti, ritroviamo incredibilmente l’Italia, ad oggi terzo Paese per contributi all’Agenzia spaziale europea. Un primato di cui essere orgogliosi, per una volta, visto che la space economy ha ricadute nello sviluppo tecnologico di centinaia di ambiti qui, sulla Terra.
Il nostro Paese, in un ambito così promettente e foriero di uno sviluppo basato su una modernizzazione fondamentale per la nostra produttività, dovrebbe puntare soprattutto sulla crescita del venture capital: quest’ultima, infatti, sarebbe in grado di assorbire senza problemi 5 o 6 miliardi di euro l’anno di investimenti in start-up, creando quei famosi “unicorni”, ovvero aziende leader nell’innovazione e dagli altissimi valori in Borsa.
Come ha spiegato lo stesso Dettori, la sua azienda è stata in grado di portare 40 milioni di euro di investimenti dall’estero puntando prettamente su start-up spaziali italiane.
Spesso, purtroppo, il paradigma culturale del mondo imprenditoriale italiano spinge a non puntare sulle piccole imprese, o sulle nascenti start-up, tanto che anche i fondi del Pnrr sono stati per lo più assegnati alle grandi aziende. Un errore marchiano. La Francia, invece, ha dato tutti i finanziamenti a Pmi e start-up, ad esclusione di un progetto assegnato a una grande azienda. Dovrebbe essere questo il trend da seguire anche in Italia, visto che per competenze e innovazione il sistema delle Pmi e delle start-up italiane non ha nulla da invidiare ai partner europei. Servirebbe più coraggio. E maggiore fiducia da parte di investitori pubblici, in primis, ma anche privati, per creare quell’ecosistema fondamentale allo sviluppo.
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