Maria Elena Zanini, su Il Corriere della Sera, riporta il punto di vista straegico di Giancarlo Fancel, country manager e ceo di Generali Italia, che sul tema del welfare aziendale dice: «Una parte sempre più rilevante di Pmi ha un elevato livello di welfare aziendale, che utilizza in chiave strategica e che estende alle famiglie dei dipendenti, fino all’intera comunità in cui opera». Per questo il tessuto imprenditoriale italiano composto dalle piccole e medie aziende assume «un ruolo sociale importante, diventando punto di riferimento sul territorio», riassume il ceo. Le considerazioni di Fancel si inquadrano nella presentazione tenutasi ieri a Roma dell’edizione 2024 del Rapporto Welfare Index Pmi, promossa da Generali con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni e Confcommercio. A questa edizione (l’ottava dalla nascita) hanno partecipato circa 7mila imprese, sulle oltre 660mila pmi monitorate, una cifra più che triplicata rispetto alla prima edizione e che comprende aziende di tutti i settori produttivi, di tutte le dimensioni e provenienti da tutta Italia. Come emerge dal rapporto, il welfare aziendale cresce, anzi, ha raggiunto la «maturità» nelle piccole e medie imprese: il 75% delle imprese ha superato il livello medio, una su tre ha un livello alto o molto alto, il triplo rispetto alla prima edizione del 2016. Parallelamente sono dimezzate le imprese a livello iniziale, il cui welfare consiste sostanzialmente nell’adozione delle misure previste dai contratti collettivi, passate dal 48,9% al 25,5%. I numeri presentati ieri a Roma mettono l’accento anche sul rapporto tra welfare e redditività aziendale: Generali e Cerved hanno analizzato 4.200 bilanci e dai dati emerge una crescita più veloce della media in termini di produttività e redditività.
Rimanendo ai numeri, la quota di imprese che hanno visto crescere il loro fatturato nel 2023 viaggia in sincrono con la crescita del livello di welfare aziendale, dal 28,8% di quelle con livello iniziale al 46,5% di quelle con livello molto alto. Salute, benessere, pari opportunità, inclusione, valorizzazione della persona sono i settori sui quali punta maggiormente il welfare aziendale, ma l’area più «matura», con un tasso di iniziativa del 56,4% è sicuramente la conciliazione vita-lavoro, punto fondamentale per la ministra per la Famiglia Eugenia Maria Roccella, la quale dal palco dell’evento ha commentato: «Dalla capacità del mondo produttivo di agevolare la conciliazione vita-lavoro passa la rimozione di uno dei maggiori ostacoli che disincentivano la natalità».
Come emerge dai dati dell’ottava edizione di Welfare Index Pmi 2024 provenienti da tutta Italia, delle 7mila imprese da 6 a mille dipendenti che vi hanno partecipato, tutte delle più varie dimensioni e settori produttivi, ben il 73% (3 su 4) è risultata avere un livello almeno medio di welfare aziendale; è triplicato il numero di quelle con un livello molto alto e alto, mentre si è dimezzato quello delle imprese a livello iniziale.
Le aziende, grazie al welfare, diventano così un vero e proprio punto di riferimento per le comunità del territorio: è questa la grande novità, che emerge sempre più preponderante.
Con una vera sinergia tra settore pubblico e privato che miri a coinvolgere le Istituzioni, gli enti territoriali, le famiglie, le imprese e il terzo settore si potrebbe profondamente contribuire al rinnovo del welfare italiano.
Anche perchè il welfare fa bene anche alla produttività aziendale: dal rapporto, infatti, emerge come le aziende con un welfare più strutturato mostrino performance di produttività decisamente superiori alla media, crescendo molto più velocemente nei risultati economici e ottenendo una maggiore solidità finanziaria: la quota di imprese con un aumento di fatturato nel 2023, infatti, cresce in modo lineare con il livello di welfare aziendale, mentre l’indebitamento decresce al crescere dei livelli di welfare, con una differenza di oltre 5 punti tra le imprese di livello iniziale (70,3%) e quelle di livello molto alto (64,5%).
Inoltre, e questi sono dati fondamentali, le aziende che puntano sul welfare, considerandolo una vera e propria leva strategica per la sostenibilità dell’impresa, oltre ai vantaggi in termini di crescita, generano anche importanti impatti sociali, con una valorizzazione del benessere delle persone. Come si è visto, l’area della conciliazione vita-lavoro segue a brevissima distanza salute e assistenza. La denatalità, gravissimo problema dell’Occidente e soprattutto di Paesi come Italia e Germania, si combatte anche così, non solo attraverso le linee statali, ma con una crescente consapevolezza del mondo produttivo che va incontro ai lavoratori e alle lavoratrici, permettendo ritmi vita-lavoro più idonei anche alla creazione di una famiglia, che verrebbe poi sostenuta con bonus e sostegni all’educazione dei figli (lo stesso dicasi per gli asili aziendali).
Che il welfare aziendale abbia raggiunto una sua maturità anche tra le piccole e medie imprese (non solo quelle grandi) dovrebbe essere un punto di orgoglio del nostro sistema produttivo, sempre più maturo, con ripercussioni estremamente positive sulle comunità e i territori nei quali lavorano, con i privati impegnati a supplire le carenze del settore pubblico.
Cosa si intende per leadership esperta
STUDI – Incertezze e resilienza delle imprese italiane nel 29° report di Confartigianato
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