Andrea Prencipe scrive, su Il Corriere della Sera, di come il prestigioso Times Higher Education abbia proprio recentemente sottolineato quanto sia fondamentale rimettere al centro del dibattito la missione delle università, ma intese come luoghi di dialogo e incontri culturali. Luoghi che accolgano persone che provengono da contesti diversi e facciano loro sentire che possono conoscere tutti gli altri punti di vista nonché altre prospettive. Secondo Prencipe, però, sarebbe anche opportuno riflettere sulla leadership accademica e, quindi, su coloro che danno forma a questi luoghi con l’ovvia collaborazione della leadership amministrativa. La letteratura sul tema e gli esempi tratti dalla pratica della conduzione delle università leader offrono suggerimenti su modelli, stili e metodi della leadership, associando alla stessa innumerevoli qualificazioni: trasformativa, gentile, autorevole, autoritaria, innovativa, empatica, resiliente, di servizio, e altre ancora. Sebbene le riflessioni teoriche viaggino – a volte troppo – in alto e verso il futuro, e l’azione pratica è invece troppo spesso focalizzata su singoli casi particolarmente focalizzati sul presente. Ma studi empirici, ancorché accademici, fanno sì che teoria e pratica possano incrociarsi. Anzi, debbano farlo.
Amanda Goodall ha studiato la leadership delle principali research university del mondo – come Harvard, Oxford,
Cornell – e ha sviluppato l’interessante concetto di «leadership esperta», sintetizzato nel libro Socrates in the Boardroom (Princeton University Press). Lo studio suggerisce che le università che fanno registrare i migliori risultati sono quelle guidate da leader che hanno profonda esperienza del mondo universitario e piena legittimazione nelle relative comunità scientifiche. Goodall sostiene che i leader esperti possiedono conoscenze intrinseche dell’accademia, acquisite attraverso esperienze nel settore e attuate con intelligenza. La nozione di leadership esperta proposta da Goodall si lega alla riflessione profonda e continua su cosa significhi “fare” università e sulle relative frontiere dell’innovazione. Nelle università, i leader esperti sono studiosi credibili nelle comunità scientifiche, ricercatori che vantano un riconosciuto status internazionale, generalmente «misurato» attraverso pubblicazioni scientifiche, citazioni, ruoli di vertice nelle società scientifiche e in riviste prestigiose. Questa credibilità non può che essere piena e informata da radici profonde, e non può limitarsi ad aspetti altri — pur rilevanti, quali ad esempio il contributo al dibattito pubblico — che risultano credibili nel tempo solo se basati su robuste radici di capacità di investigazione scientifica. Poiché conoscono approfonditamente il contesto e le sue regole del gioco, i leader esperti creano condizioni organizzative abilitanti per lo sviluppo personale e professionale di chi frequenta l’istituzione universitaria. Le università sono infatti organizzazioni normative caratterizzate cioè da processi di emulazione e rivalità positiva: i membri di un’organizzazione normativa sono motivati anche da risorse simboliche, quali premi di ricerca e didattica, e ruoli accademici. Grazie alla conoscenza del contesto, i leader esperti amplificano le differenze per realizzare innovazioni, consapevoli che queste ultime non accadono se non attraverso il confronto dialettico, anche animato e a volte conflittuale, tra diversità. La conoscenza specializzata del «mestiere», per quanto necessaria e rilevante, non è tuttavia sufficiente per guidare le istituzioni accademiche. I leader esperti sono membri autorevoli nelle comunità accademiche di riferimento e in quanto tali sono essi stessi segnali robusti di competenza, conoscenza e modelli di comportamento etico: le istituzioni accademiche guidate da leader esperti sono attrattive per altri autorevoli membri — junior e senior — delle comunità scientifiche.
La massima latina ubi nihil vales, ibi nihil velis (dove non si vale, nulla si può volere) sintetizza la robustezza strategica e comunicativa implicita del leader accademico esperto, e della leadership che ne consegue per l’istituzione guidata. La leadership esperta oltre a basarsi su conoscenze e competenze verticali, specifiche degli elementi fondamentali di un settore, richiede capacità di lavorare orizzontalmente per valorizzare esperti altri. Un leader esperto crea un senso generale di equilibrio, unisce i punti, da’ senso a competenze e potenziale che rimarrebbero altrimenti isolati a livello individuale o di piccoli gruppi disciplinari; il leader esperto genera unità da una molteplicità di punti di vista per sfruttare creatività e saggezza collettiva e quindi superare i limiti del singolo nella comprensione della complessità.
Da quanto detto emerge un profilo di leadership capace di abbracciare una delle ultime sfide per affrontare complessità e discontinuità contemporanee: i leader esperti sono “generalisti specializzati”, professionisti in grado di combinare virtuosamente un approccio multidisciplinare ed interdisciplinare — necessario per valorizzare esperti altri — ed una profonda conoscenza del settore in cui operano, necessaria per innovare.
Un leader è quindi un connettore, un aggregatore generativo di punti di vista. Nel mondo accademico i leader esperti non sono solo visionari, ma assurgono ad architetti sociali che immaginano e creano mondi ai quali gli abitatori dell’istituzione aspirano non solo ad appartenere, ma prima e soprattutto a co-costruire per condividere e combinare talenti e passioni personali. Nel mondo accademico i leader esperti sono — metaforicamente parlando — al timone di navi senza passeggeri: ciascun membro ha un ruolo attivo nella co-costruzione del futuro.
Ormai le maggiori università globali offrono suggerimenti su modelli, stili e metodi di conduzione, in associazione con le innumerevoli qualificazioni.
Un manager della conoscenza, un leader esperto che sappia creare luoghi di incontro, dialogo, ricerca e conoscenza, mettendo in pratica in solo conoscenza accademiche e scientifiche comprovate, ma anche doti manageriali fondamentali per il buon funzionamento di istituzioni ormai complesse.
Il tutto anche per attirare i migliori cervelli, sia studenteschi che nel corpo dei docenti.
Il raccordo tra università, imprese e ricerca rende oggi i poli accademici snodo cruciale anche per lo sviluppo del Paese in cui sono radicati.
Un’organizzazione normativa in cui far crescere gli individui, leader del futuro in ogni ambito della conoscenza umana, ma anche luogo che sappia prevedere le sfide del futuro, attuando le giuste strategie per affrontarle al meglio.
Architetti sociali, oltre che accademici: ecco cosa si intende per leadership esperta, in un connubio tra capacità manageriale, accademiche, scientifiche e sociali. L’approccio deve necessariamente essere multidisciplinare e verticale, creando connessioni tra i vari ambiti. Per poter avere istituzioni universitaria che sappiano navigare nelle sfide dell’oggi ma, soprattutto, che sappiano anticiparle e gestirle al meglio. Creando luoghi di crescita e dialogo (mai così necessari in un’epoca di nuovo conflitti armati) in cui tutte le correnti di pensiero possano sentirsi libere di esprimersi (andando contro una cultura woke che molti danni sta facendo, soprattutto nel mondo accademico anglosassone).
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